martedì 15 gennaio 2013

Il Suicidio... Un gesto poco comprensibile.


Limitare a definire il suicidio come un atto insensato o di fuga dai problemi è un sintomo di
limitatezza mentale. Chi si suicida non sempre è disperato e non sempre lo fa per fuggire dai
problemi del mondo; spesso è una scelta meditata nel tempo e maturata negli anni. Non sto parlando
ovviamente degli adolescenti che si suicidano perchè il loro amore non è corrisposto o perchè
scherniti da amici e conoscenti, quello è un altro discorso che sfocia poi nel medesimo gesto ma con
delle motivazioni differenti da chi si suicida per il male di vivere o chi usa il suicidio come gesto
dimostrativo. Prima di affrontare le varie visioni del suicidio è doveroso guardare questo fenomeno
non come un gesto consueto ma come un eccezione, e se di eccezione si tratta, allora la vera
domanda non è tanto capire cosa spinge una persona a suicidarsi ma cosa spinge una persona a
continuare a vivere. In situazioni particolarmente difficili e difficilmente accettabili l'uomo non
ripiega sul suicidio come scelta e questo è ben visibile ad esempio nei campi di sterminio nazisti
dove il tasso di suicidi non era di molto superiore a quello della media nazionale di quel periodo o
nelle regioni del terzo mondo. Questo dimostra quindi che c'è qualcosa che muove l'uomo a
rimanere in vita anche in situazioni proibitive e che non garantiscono un futuro certo o quantomeno
dignitoso. Da questo si deduce che il suicidio è particolarmente frequente in regioni e situazioni in
cui il livello sociale e culturale ha raggiunto un certo benessere. Perchè,quindi,il fenomeno del
suicidio si presenta sempre o quasi in situazioni di benessere?
Ritengo che i punti chiave per azzardare una risposta siano due,la speranza e la cultura dominante.
In situazioni proibitive dove il tempo viene impiegato a lavorare o a mantenersi vivi, l'individuo
non ha il tempo libero necessario per maturare l'idea del suicidio, quindi questa non è una scelta
repentina e infondata ma frutto di un lungo confronto interiore. (Quello che dico è da ritenersi in
senso generale ovviamente, non è mio interesse affrontare ogni singolo caso e trovarne le
motivazioni, considerando che in molti casi le motivazioni sfuggono ai più e non è compito ne mio
ne di nessun' altro indagare, giustificare e capire un suicidio in quanto è un gesto così fortemente
personale da poter sfuggire ad ogni logica,e per questo fortemente incomprensibile).
In una società elevata culturalmente e socialmente l'individuo ha più tempo libero e può porsi
domande alle quali sarebbe difficile rispondere se non si ha del tempo libero da trascorrere a
maturare la risposta, ponendosi alcune domande sul senso della vita giunge ad un interrogativo
insormontabile come il significato dell'esistenza o il senso della vita stesa. L'impossibilità di
ottenere una risposta valida e soddisfacente porta l'uomo sull'orlo di un tracollo, in una situazione
dove nulla ha più senso perchè il senso non si trova. L'uomo si accorge che è effimero e destinato a
finire proprio perchè la fine è intrinseca nella natura che crea e distrugge ogni cosa e l'uomo non
sfugge a questa regola. Ogni cosa è destinata a cessare e molte persone non riescono a darsi pace e
cercano di trovare altre risposte alle domande. L'archè del suicidio,il principio primo, risiede
proprio in questa situazione. La razza umana con il tempo si è dissociata sempre più dalla natura
creando nuove regole e manipolando gli istinti,la società stessa si è snaturalizzata ma questo è un
processo soltanto mentale e sociologico non certo biologico,in quanto l'uomo pur dissociandosi
dalla natura ne resta lega alle meccaniche e alle regole generali di inizio e fine. Di conseguenza
l'uomo che ha cercato invano di dominare la natura si trova in uno stato di profonda crisi e angoscia
quando prende coscienza del fatto che inesorabilmente obbedisce alle leggi della natura e questa
sofferenza è il male di vivere,ovvero la consapevolezza che ogni cosa è limitata nel tempo e il
dubbio che diventa certezza della mortalità non solo della persona ma di tutto quello che ci
circonda. Per questo motivo l'essere umano ripiega nelle fede le risposte mancate perchè non è in grado di vivere nel dubbio e cerca sempre una risposta anche fasulla ma che in qualche modo riesca a colmare il grande vuoto.
E' importante capire,a mio avviso, che in questo caso non esiste differenza tra fede e ateismo in
quanto entrambi i pensieri portano ad una risposta falsa alla domanda iniziale (ovvero qual'è il
senso della della vita?) l'una affermando l'opposto dell'altra. La vera soluzione non risiede ne nel
credo e nemmeno nel non credo ma nell'agnosticismo,ovvero nel non porsi la domanda in quanto
nessun ragionamento e nessuna fede possiede una risposta certa. La vita è piacere di scoprire e di
conoscere, quando cessa questa voglia ne cessa necessariamente anche il piacere che porta. Dal
verbo “suchen” (cercare) i tedeschi fanno il participio presente “suchend” e la forma sostantiva “der
suchende” (colui che cerca) è usata per indicare coloro i quali non si limitano alla superficialità
delle cose ma vogliono indagare ogni aspetto della vita anche quello più sgradevole,è questo che
intendo con il piacere della scoperta.Non ha dunque senso porsi domande alle quali non è possibile
dare una risposta e questo è valido non solo per il proprio credo ma anche per altri temi più concreti
come ad esempio le motivazioni che portano al suicidio. E’ una domanda che intrinsecamente non
ammette nessuna risposta in quanto le motivazioni possono essere innumerevoli e nessuna nello
stesso tempo e rilevanti per alcuni e irrilevanti per altri,l'unica persona che può rispondere a questa
domanda ironicamente è colui il quale ha deciso di togliersi la vita. Concludendo,l'uomo ha
costruito una società distaccata dalla natura ma non potendo sfuggire alle sue regole ha come diretta
conseguenza questa presa di coscienza.Iil suicidio,secondo il mio punto di vista, non è altro che un
tentativo di spostare la domanda primordiale e un modo per colmare un male di vivere veramente
esasperante e quotidianamente presente,tanto da diventare esasperante. Sarebbe riduttivo limitare il
suicidio ad un atto scellerato e da vigliacchi, Seneca diceva che ci vuole coraggio a vivere,ma io
ritengo che questa affermazione non sia poi così vera,non ci vuole coraggio a vivere in quanto si
vive per inerzia,la vera forza e il vero coraggio sta nel togliersi la vita.
Durkhein identificò quattro gradi di suicidio ( egoistico,altruistico,anomico e fatalista) questo
perchè sarebbe riduttivo e insensato paragonare il suicidio di un giovane per una pena d'amore ad
esempio al suicidio di Catone Uticense, di Jan Palach (Praga 1968) o di Salvador Allende. Questi
suicidi sono certamente gesti estremi ma non si possono definire atti di codardia o di scelleratezza,
sono stati mossi da una profonda coscienze e consapevolezza del gesto che si stava per compiere e
con un grande senso di responsabilità nei confronti di un idea.Forse è proprio questo quello che
siamo,un’ idea che avrà fine soltanto con la fine della società. Se siamo quello che siamo oggi e se
possiamo godere di alcuni diritti lo dobbiamo anche al gesto estremo di persone che hanno deciso di
privarsi generosamente della loro vita in favore di un idea più grande e più alta. Alla luce di queste
affermazioni c'è ancora dello sdegno e del biasimo difronte ad una persona che decide di suicidarsi?

1 commento:

  1. Bel pensiero,mi piace! Dovremmo imparare tutti quanti a non giudicare le scelte altrui,per quanto incomprensibili possano essere. Bravo.

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