lunedì 18 marzo 2013

Due minuti d'attesa...


Scese le scale senza dar troppa importanza ai gradini,come ogni giorno, li conosceva bene quei gradini, li conosceva da quarantadue anni, ogni giorno li calpestava per recarsi al lavoro e tornare a casa, e ogni giorno sopportavano il suo peso e anche quello di qualche migliaio di altre persone, uomini, donne, bambini, anziani, studenti, persone di ogni etnia e generazione, ognuno assorto nei propri pensieri ognuno concentrato sui propri problemi, sulle proprie ansie e disperazioni. Quanta gente ogni giorno passava per quella stazione, molta gente, ma nessun rapporto, siamo soli pensò improvvisamente, mentre il tabellone indicava due minuti all'arrivo del prossimo treno. Siamo soli anche in mezzo a tanti, lo aveva sempre pensato ma in quel momento lo comprese e assaporò il gusto tremendo di quel pensiero, il freddo che lascia un idea tanto grande quanto dannatamente vera, un brivido lo percorse da testa a piedi, entrando nelle ossa e in ogni singola cellula,era come se ogni parte del suo corpo, anche la più piccola e insignificante, avesse partecipato alla sua rivelazione interiore, sono solo continuò a pensare. Fin da piccoli, forse solo per darci coraggio, ci dicono che siamo unici ma mai che siamo soli, unica può esserlo solo una cosa rara, magari anche bella come una pietra preziosa, ma soli possiamo esserlo tutti, come uno scarpone abbandonato sulla spiaggia dalle onde dopo una notte di burrasca, questo pensiero si insinuò nella sua mente e in poco tempo la invase totalmente, totalizzando e dirottando ogni pensiero, anche il più piccolo e il più scontato, ogni pensiero era stato soppresso e l'eco della solitudine regnava sovrana nella sua mente. Sono solo, si ripetè per l'ennesima volta, un'anima relegata in una prigione di carne, il nulla in una barriera di muscoli e ossa, solo, tutti sono soli, per quanto si possa stare vicini, siamo limitati e soli, anche nella moltitudine siamo soli...

Il treno arrivò in in stazione, si aprirono le porte, qualcuno scese e altri salirono e lui, solo, si confuse tra la folla.

mercoledì 13 marzo 2013

Il Corvo e la sventura di esser nato così...


Un giorno di Luglio il vecchio Antonio Percini,vide nel bosco un piccolo corvo imperiale e mosso a pietà lo prese con se. Antonio era un uomo schivo,ma non cattivo,di quelli che preferiscono restare soli non per cattiveria ma perchè non si sentono parte di questo mondo. Cosa facesse per vivere e come sopravvivesse nessuno in paese lo sapeva,si dice che tornò parecchi anni dopo la guerra,la patria lo mandò al fronte a combattere prima per i tedeschi e poi contro,probabilmente fu catturato e tornò solo dopo molti anni di cammino,ma chi lo conosceva bene diceva che era tornato diverso e cambiato non solo nell'aspetto ma anche nei modi di fare,da allora si ritirò su una baita lontana dal paese e cosa facesse di preciso nessuno lo sapeva con certezza.
Il corvo crebbe,aveva un piumaggio nero,con occhi grandi e scuri come mirtilli,un becco massiccio e ricurvo,la gente temeva quell'animale che ogni tanto si faceva vedere in paese,si posava su qualche albero o su qualche finestra e ben presto cominciò a circolare la voce che quell'animale portava sfortuna,era una credenza nota (e lo è tuttora) che il corvo porti sfortuna,che come la civetta annunci la morte o il verificarsi di qualche sciagura,ma è solo ignoranza infondata ma a quel tempo tutti ci credevano senza alcun dubbio o incertezza alcuna. Accadde,un giorno di Ottobre che il parroco del paese, Don Vincenzo,vedendo il corvo posato sul rosone della chiesa,corse a gran velocità sul sagrato in marmo per cacciare la bestiaccia,quel giorno aveva piovuto parecchio e correndo scivolò sul sagrato,cadendo si ruppe il braccio destro,proprio quello usato per le benedizioni e per dire messa,era il 15 Ottobre,il giorno di San Fortunato Martire,ma quel giorno di fortuna il caro Don Vincenzo non ne ebbe affatto. Le anziane del paese saputa la notizia iniziarono a segnarsi e a recitare il rosario,sapevano bene che la cosa era seria non solo per il parroco che fu portato in ospedale su di un carretto ma anche per il paese stesso,la brutta stagione stava arrivando e un prete con il braccio destro rotto non può dir messa ne celebrare battesimi e funerali,insomma il paese era disperato,il prete più vicino era a 3 ore a piedi dal paese,a quel tempo le strade non erano ancora tutte asfaltate e per mettersi in viaggio ci voleva il bel tempo altrimenti si correva il rischio di rimanere bloccati nel fango o peggio ancora in qualche fiume che straripando inondava la strada vicina. La domenica arrivò e le donne di buona lena si alzarono presto per recarsi alla messa nel paese vicino,il cielo era sereno,il sole appena sorto colorava di rosa le montagne e arancio le cime innevate e i ghiacciai perenni. Dopo qualche settimana arrivò un nuovo prete che sostituì Don Vincenzo per un mese circa,fino al giorno della sua guarigione. Il corvo non si fece più vedere fino agli inizi di Dicembre,il paese era coperto da una coperta di neve spessa quasi una spanna,tutto taceva,l'unico rumore era il crepitio del legno nei camini,il fumo bianco che usciva dai comignoli si confondeva subito con lo sfondo del candido paesaggio innevato,per questo non fu difficile notare il corvo nero passeggiare sul tetto della casa dei coniugi Vernucci,erano due anziani di 85 anni,da tempo malati entrambi e il paese si fece carico di aiutarli,la loro casa era molto vecchia e alcune tegole rotte facevano uscire il calore dalle loro crepe sciogliendo la neve attorno,creando così delle chiazze rosse sul tetto bianco. Il corvo si era posato proprio su una di queste chiazze probabilmente per riscaldarsi,sfruttando il tepore proveniente dalle tegole. La vecchia Vernucci saputo che il corvo si era posato proprio sulla sua casa si spaventò a morte,ancora ricordava quanto fosse accaduto al parroco pochi mesi prima,e il marito vedendo la donna riversa al suolo morì quasi subito anche lui di crepacuore. La colpa fu subito attribuita al corvo,che ignaro di tutto rimase sul tetto a scaldarsi. Un cacciatore del paese venuto a conoscenza dell'accaduto imbracciò la doppietta e sparò un colpo al corvo che precipitò senza vita dal tetto,rovesciando sulla strada in piccolo rivolo di sangue scuro che si mischiò con la neve fredda e banca. Il cacciatore prese con se l'animale e lo buttò in un camino per brucialo,scongiurando così ogni maledizione del corvo,era infatti usanza al tempo bruciare le cose o le bestie che si pensava portassero sfortuna. Le piume del corvo bruciarono immediatamente e con loro il resto dell'animale,il fuoco mangiò la carcassa e ne sputò soltanto qualche osso e un cumulo di cenere.


Di disgrazie ne accaddero ancora nel paese e le colpe furono imputate al caso e a qualche altra bestia o persona poca gradita e mal vista. L'ignoranza della gente porta spesso a conclusioni affrettate e ancor peggio,spesso la gente è causa del proprio male,il prete scivolò perchè il sagrato era bagnato non certo per colpa del corvo e i vecchi Vernucci morirono alla veneranda età di 85 anni,non certo giovincelli,ma l'ignoranza porta sempre a dare spiegazioni insensate e fatti comuni.

lunedì 11 marzo 2013

L'urlo della civetta


Questa storia si perde nella notte dei tempi,quando l'uomo ancora amico della natura sapeva viverci in un rapporto di reciproco scambio,senza che nessuno prevalesse sull'altro. Come tutte le primavere,fino a quel giorno, tutti gli uccelli erano intenti a cercare rametti ed erba secca per costruirsi il nido. Il cuculo,arrivato solo ad Aprile inoltrato,non trovò più ne rametti ne erba secca e tutti i vecchi nidi erano stati occupati e risistemati da altri uccelli che decisero di intraprendere prima la migrazione per accaparrarsi i posti migliori. I mesi passarono e il cuculo vagava per il bosco alla ricerca disperata di un nido dove poter deporre le uova. Mentre il sole tramontava all'orizzonte e colorava le nuvole di un rosso accesso,la civetta vedendo che si faceva buio decise di uscire dal nido per cacciare qualche topo,aveva appena deposto 3 uova e non c'era bisogno di covarle vista la temperatura gradevole dell'aria. Il cuculo vedendo la civetta uscire dal nido,orientandosi con la tenue luce rossastra del crepuscolo,entrò svelto nel nido della civetta,e con un rapido gesto butto le uova appena deposte fuori dal nido e poi ne posò altre tre. Il cuore del cuculo batteva forte e temeva che la civetta potesse scovarlo e ucciderlo,per questo non appena depose le sue uova si affrettò ad uscire dal nido e a volare via lontano dal bosco. Solo a notte fonda la civetta tornò nel nido e si accorse che che le sue uova erano state sostituite,il silenzio della notte fu rotto da un grido disperato di rabbia e terrore,che anche il cuculo volato a parecchi chilometri di lontananza sentì distintamente. Tutti gli animali del bosco si svegliarono impauriti e impietriti al sentire il verso così tetro e cupo della civetta. Da quel giorno la civetta decise di uscire solo la notte,per non esser vista da nessuno e per poter urlare tutte le sere,da sola il dolore per la perdita dei propri piccoli. Ecco perchè la civetta ha un verso che ricorda il grido di una donna spaventata e terrorizzata.

"La civetta attraverso i suoi occhi turba con la sua presenza, rompendo l’oscurità nella quale doveva rimanere,procurando spavento e presa di coscienza."


NDA:
Questa ovviamente è una storiella inventata,un modo fantasioso per spiegare l'acuto verso della Civetta,ma non significa affatto che sia una animale che porti sfortuna,anzi,se avete il privilegio come me,di sentirla cantare quasi ogni notte,significa che siete tra i pochi fortunati a vivere in mezzo al verde,in un posto dove il cemento e l'asfalto non ha preso il posto del cemento. La vera sfortuna sta nelle persone ignoranti che disprezzano e spesso uccidono gli animali solo per credenze popolari insensate.
Simone Monguzzi.

venerdì 8 marzo 2013

Il vecchio boscaiolo.


Come ogni sera sul fare del tramonto in Caprimulgo uscì dal suo nido ben nascosto tra le fronde del salice piangente per andare a caccia. Il vecchio Felice Bernassi come ogni sera lo guardava volare dalla finestra della sua stanza della residenza per anziani Anni d'Oro,era una piccola residenza con un 50ina di ospiti immersa nel verde e nella quiete,non era difficile vedere nel prato qualche scoiattolo o qualche leprotto che incuranti dei vecchi seduti all'ombra della veranda,frugavano tra l'erba e i cespugli in cerca di qualcosa da mangiare. Felice non era mai tra quelli che uscivano a prendere l'aria buona in giardino,i suoi genitori gli diedero questo nome ma lui felice lo era solo di nome e non di fatto,ebbe una vita piena di pene e tormenti un figlio scomparso a 20anni e una moglie che morì in seguito ad un incidente in auto qualche anno dopo la scomparsa del figlio. La vita non aveva mai riservato nulla di buono a Felice,lavorò come taglialegna per 54 nelle valli appena sopra a Como,gli della pensione furono per lui anche quelli più tristi e bui,si sentiva inutile nei confronti della società o meglio,la disdegnava perchè per lui la società non aveva mai fatto nulla di buono,i nipoti stanchi di averlo tra i piedi lo rinchiusero in questa residenza per anziani. Molte volte pensava all'ironia del nome e alla presa per il culo di cui era certo molti la dentro non se ne erano neppure accorti. Felice conosceva bene la natura,riconosceva ad occhi chiusi i canti di tutti gli uccelli notturni e diurni,conosceva i periodo di cova e di migrazione,non c'era cosa su un uccello o su un animale del bosco che lui non conoscesse o che non potesse arrivare a conoscere per deduzione,ma a nessuno fregava di quell'uomo,nessuno parlava mai con lui perchè tutti credevano fosse scorbutico e cattivo,ma non lo era affatto,quando una persona si isola e tende a distaccarsi e ad odiare la società nessuno più bada a lui e nessuno più lo cerca,forse per paura di esser trattati male più che per rispetto della propria scelta,certo è che Felice non cercava mai la compagnia di nessuno ma non la disdegnava quelle rare volte che capitava di parlare con qualcuno lui era sempre al centro del discorso,raccontava le storie del bosco,le leggende degli animali e degli esseri che lo vivono,ma nessuno sembrava realmente interessato ai sui discorsi,quei pochi che aveva ancora buone facoltà cognitive preferivano passare le giornate davanti alla tv,il resto degli anziani era piazzato in un angolo del salone centrale,mentre sbavano e si lamentavano senza essere ascoltati da nessuno. Il vecchio boscaiolo passava le giornate intere nella sua stanza a guardare fuori dalla finestra,ogni mattina metteva un biscotto sbriciolato sul davanzale e un pettirosso veniva a mangiare,all'inizio era schivo ma dopo qualche tempo non era più intimorito della presenza dell'uomo alla finestra,anzi spesso se ne restava li anche dopo aver finito di mangiare per ore e ore,non facevano nulla se non guardarsi negli occhi a vicenda e di tanto in tanto Felice accarezzava il pettirosso,ma lo faceva molto raramente perchè sapeva bene che gli animali selvatici per propria natura devono essere liberi e vanno soltanto ammirati e mai toccati o intrappolati,ma il pettirosso sembrava accondiscendere a questo strappo alla regola. Passarono i mesi e le giornate passavano sempre nello stesso modo,qualche ospite se ne andava e veniva rimpiazzato da qualche altro anziano,cambiavano le facce e noi ma mai la sostanza della gente che lo abitava,molti anziani stanchi di vivere o semplicemente stanchi di tutto ai quali nemmeno la morte concedeva l'ultimo dono ed erano costretti magari per anni a vivere gli anni d'oro in una prigione di farmaci e omogenizzati tra flebo e pannoloni sporchi. Anche la situazione di Felice si aggravò ma trovava sempre la forza ogni mattina di portare da mangiare al suo fedele amico,prendersi cura del pettirosso lo faceva sentire utile,forse apprezzato per la prima volta in vita sua,e l'uccello sembrava aver capito ogni cosa,non c'era bisogno di parlare,i due si intendevano solo con lo sguardo e con la forza dei sentimenti e si scambiavano tacite confidenza con il canto del passero e i lo sguardo profondo del vecchio. Arrivò la neve e l'inverno arrivo non solo sopra le città ma anche su Felice che una notte di Novembre,il 15, spirò. Nessuno se ne accorse se non l'indomani tranne che il pettirosso che sfidando il caprimulgo si posò sulla finestra e intonò il suo dolce canto come se volesse accompagnare e ricordare l'amico scomparso con il quale per molto tempo aveva condiviso confidenze e racconti,aveva ascoltato per mesi i racconto di un vecchio dimenticato da tutti ma che tanto aveva da raccontare. Al funerale andarono pochissime persone,e ancor meno furono i nipoti che andarono a portagli l'estremo saluto,aveva vissuto il solitudine e in solitudine se ne andò,dimenticato da tutti gli uomini ma non dal pettirosso che ancora ogni giorno,si posa sulla sua lapide e fissando la foto scolorita intona un canto bellissimo fatto di passione e sembra quasi raccontare a tutti le vecchie storie del bosco,le storie sugli animali e su gli altri esseri che lo vivono.

sabato 2 marzo 2013

Il Pettirosso

E' qualche settimana che nei miei sogni mi capita speso di vedere un pettirosso,molto affabile,che non dice nulla ma trasmette molta serenità e pace. Quindi ho deciso di cercare quale può essere il significato del pettirosso,ma non ho voluto indagare molto perchè preferisco che le cose si svelino da sole se c'è necessità che vengano svelate. Però qualche aneddoto e qualche storia l'ho trovata davvero emozionante e ricca di significato. Ne riporto di seguito alcune.

Le tre massime del pettirosso
Un uomo trovò un pettirosso impaniato fra gli spini e lo catturò, dicendo: “Che bellezza, me lo porto a casa e me lo faccio allo spiedo”. Al che il pettirosso gli parlò: “Che ben magro pasto faresti col mio corpicino minuto! Se invece mi lasci libero, in cambio ti dirò tre massime di grande valore”.
Si, d’accordo, - rispose l’uomo – ma prima dimmi le massime e poi ti lascierò andare”.
E come posso fidarmi? Facciamo così: io ti dico la prima massima mentre mi hai ancora in mano. Se ti va, mi lasci andare e io volo su quel ramoscello vicino, da dove ti dico la seconda massima, e dove mi puoi anche raggiungere con un salto. Poi volerò sulla cima dell’albero, e da li ti dirò la terza massima”.
Così fu convenuto e l’uccellino cominciò: “Non ti lamentare mai di ciò che hai perso, tanto non serve a nulla”.
Bene, - disse l’uomo – mi piace”, e liberò il pettirosso che dal ramoscello vicino disse la seconda massima: “Non dare mai per scontato ciò che non hai potuto verificare di persona”.
Dopo di che il pettirosso spiccò il volo, e mentre raggiungeva la cima dell’albero gridò tra i gorgheggi: “Uomo sciocco e stupido! Nel mio corpo è nascosto un bracciale tutto d’oro, tempestato di diamanti e rubini. Se mi avessi aperto, a quest’ora saresti un uomo ricco”.
Al che l’uomo, disperato, si buttò a terra stracciandosi le vesti e gridando: “Povero me: in cambio di tre massime ho perduto un tesoro favoloso! Me disgraziato, perché ho dato retta al pettirosso! Perché questo insulso scambio per tre sole massime …. Ma, un momento! Ehi pettirosso: me ne hai detto solo due; dimmi almeno anche la terza!”
E il pettirosso rispose: “Uomo sciocco, tre volte sciocco: ti ho pur detto come prima massima di non lamentarti per ciò che hai perso, tanto è inutile. Ed ecco che sei per terra a lamentarti. Poi ti ho detto di non dare mai per scontato ciò che non hai potuto verificare di persona, ed ecco che tu credi a quel che ti ho detto senza averne la benchè minima prova. Ti sembra forse che il mio piccolo corpo possa racchiudere un grosso bracciale? Se non sai fare uso delle prime due massime, come puoi pretendere di averne una terza?” E volò via.




Molti cercano leggende e credenze...
Il pettirosso ha un comportamento imprevedibile. Definito comunemente socievole con gli uomini, non si avvicina a tutti. Può mantenersi a distanza, schivo, per poi allontanarsi, cantando. Gli esemplari di città generalmente sono più abituati alla presenza umana e possono anche intrufolarsi dentro casa vostra, se lasciate la finestra aperta.
Il simpatico animaletto attira molta attenzione per la vistosa macchia rosseggiante sul petto e forse se ne rende conto anche lui.
Il ruolo del pettirosso nell'immaginario europeo.
Il pettirosso è un un simbolo fortemente inserito nel folklore britannico e francese, e, in misura minore, in tutti gli altri paesi d'Europa.

  • Per la mitologia dei Normanni il pettirosso era considerato sacro a Thor, il dio del tuono, accostandolo alle nuvole di tempesta. 
  • Più recentemente è stato associato al Natale, assumendo un ruolo dominante in molti biglietti natalizi fino alla prima metà del diciannovesimo secolo. Un vecchio racconto popolare britannico, associato al cristianesimo, spiega la particolare colorazione del petto rosseggiante. Quando Gesù stava morendo sulla croce, il pettirosso, che era di colore marrone, si accostò al morente e cantò nel suo orecchio per alleviare il suo dolore. Il sangue sporcò il petto del volatile e da quel momento tutta la specie ha avuto impresso il marchio del sangue di Cristo.
  • Una leggenda alternativa, sempre cristiana, vede il petto del pettirosso ustionato dalle acque del Purgatorio mentre andava a prendere le anime dei morti.
  • Il pettirosso è diventato l'emblema dei postini inglesi dell'epoca Vittoriana, essendo loro stessi chiamati Robin e vestiti con uniforme rosse.
  • Nel 1960, il pettirosso è diventato l'animale simbolo del Regno Unito.
  • Il pettirosso figura nel racconto tradizionale per bambini Babes in the Wood, nel quale i volatili ricoprono con le foglie secche i corpi dei bambini, uccisi nella foresta (immagine).